ESCLUSIVO

Lo 007 sardo G71 che i servizi segreti del Ministero della Difesa volevano cancellare

HA VISSUTO A QUARTU LO 007 SENZA PASSATO

Una lunga battaglia con lo Stato. L’ultima missione nel Magreb diventa un film

 

La incredibile storia di un uomo che, dopo tante missioni, per i Servizi Segreti non è mai esistito. I personaggi di un’assurda vicenda non ancora conclusa.
L'ultima missione di Nino Arconte, agente segreto G71, rischiò di finire male. Anzi, finì male.
Arconte, segregato nella fortezza militare spagnola di Tetuan, salvò la pelle dall'accusa di spionaggio, che comportava la fucilazione, ma quando fu liberato e tornò a Roma, all'Ufficio della X Divisione del Ministero della Difesa, in via XX settembre, non trovò neppure l'ufficio. Gli dissero che l'ufficio non era mai esistito. Che i servizi segreti erano una sua invenzione e che il sole africano era la causa della confusione che quell'uomo, corpulento e trasandato, aveva in testa. Era o pazzo o mitomane, scegliesse lui.
La storia che vi raccontiamo è uno dei tanti e fitti misteri d'Italia, vergognosamente nascosti all'opinione pubblica con la complicità del governo. Segreti di Stato e di Pulcinella.
Se la raccontiamo questa storia è perché Nino (Antonino) Arconte, agente G71 (dove G sta per Gladio), X Divisione Stay Behind (letteralmente, Stai al di là. Al di là dei confini del patrio suolo, cioè all'estero), aveva conservato per istinto di conservazione una serie di documenti, quelli che, una volta letti dal destinatario, erano classificati dal Ministero "a distruzione immediata". Non tutti questi documenti furono distrutti ed oggi rappresentano una prova inconfutabile delle missioni di un marinaio e di tanti altri come Arconte che per la Difesa non sono mai esistiti. Se non fosse per l'incontestabile presenza fisica che crea qualche imbarazzo, gli agenti segreti della X Divisione sarebbero frutto di pura invenzione letteraria. Come James Bond.
La X Divisione, il cui comandante era l'ammiraglio Fulvio Marini, era una branca del Sid. A riconoscere a Gladio un ruolo importante fu il generale Vito Miceli, che durante il processo per il golpe Borghese (udienza del 14 dicembre 1977) testualmente affermò: "Agli occhi profani (Gladio) potrebbe apparire come un'organizzazione incostituzionale, ma è agli ordini del Governo della Repubblica e, se volete saperne di più, chiedete pure ai massimi vertici dello Stato". Vito Miceli era il capo dei servizi segreti.
Tutto ciò abbiamo anticipato perché il lettore sappia che questa storia è vera. A mentire (sbugiardato), in più occasioni fu lo Stato.
Dunque, Nino Arconte. La missione forse più clamorosa che fu chiamato a compiere fu il tentativo di distogliere, attraverso il tortuoso percorso del terrorismo palestinese, le Brigate Rosse dal rapire l'on. Moro. La circostanza, che ha avuto in trent'anni un'infinità di ricostruzioni (alcune fedeli, altre no), non farebbe notizia se la missione di Arconte non fosse avvenuta tra il 6 e il 9 marzo, dieci giorni prima (16 marzo) che il rapimento avvenisse. Perché i servizi segreti sapevano tutto, ma non riuscirono ad evitare (impreparazione? Imprudenza? Disorganizzazione? Complicità? Il settimanale inglese Observer scrisse che, nelle Brigate Rosse, "erano profondamente infiltrate da agenti dei servizi segreti occidentali "che ne componevano "la direzione strategica).
Noi comprendiamo la difficoltà del racconto, che cercheremo di semplificare per quanto possibile.
Come tutti sanno, la classe politica italiana non fu esente da colpe.
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Nino Arconte, che oggi ha 54, da bambino giocava sempre alla guerra. Studiava le strategie sui campi di battaglia, sulle dune di sabbia del Sinis, che gli accendevano la fantasia. Gli piacevano i carri armati, non le automobiline di latta. Del resto era cresciuto nell'epica della guerra. I discorsi del padre, prima carabiniere a cavallo e poi P.I. (polizia dell'Impero) in Africa, e del nonno, arruolato in marina, riguardavano la vita militare fatta di dedizione al Paese, nobiltà d'animo e coraggio.
Era inevitabile che Nino Arconte, un po' girovago sulla scia della nonna, la maestra Teresita Dall'Osta, che insegnò anche a Quartu, dove la famiglia si trattenne per un certo periodo, finisse alla scuola allievi sottufficiali di Viterbo, dove fu "individuato" dagli osservatori della X Divisione iniziando una carriera sicuramente pericolosa, da Indiana Jones delle missioni all'estero.
Sottufficiale di marina, compì una quindicina di missioni in 16 anni di onorata carriera che i vertici dello Stato ebbero la pretesa di cancellare. Inutilmente.
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Ritorniamo al caso Moro. L'agente G71, s'imbarca a La Spesa sulla Jumbo M, come sottufficiale fuochista. Gli è stato consegnato un plico contenente documenti (si saprà, in seguito, che si trattava di passaporti non nomi fasulli e senza fotografia) che dovrà, a sua volta, consegnare al G219 (il colonnello Mario Ferraro: un suicidio molto strano, il suo, avvenuto nella sua casa romana, impiccandosi con la cintura dell'accappatoio al portasciugamani del bagno, lui, pezzo d'uomo di 1,90 di altezza!) che, a sua volta, la recapiterà, al G219, capocentro in Medio Oriente, il colonnello Stefano Giovandone, noto Lawrence d'Arabia, per la familiarità col mondo arabo.
Giovandone ebbe un ruolo importante nella diplomazia segreta ma finì male i suoi giorni, inquisito e arrestato per l'uccisione di due giornalisti italiani a Beirut (Italo Toni e Graziella De Palo dal parte del Flp) e per un traffico d'armi tra palestinesi e brigate rosse.
Comunque Nino Arconte consegna il plico e torna indietro.
L'operazione è complessa. Intendeva avere "collaborazione e informazioni utili alla liberazione di Aldo Moro" prima del sequestro. I servizi segreti sapevano che le Brigate Rosse avrebbero agito.
Era stato Moro a creare un rapporto privilegiato con i guerriglieri palestinesi.
L'obiettivo era evitare azioni di terrorismo in Italia. Il governo italiano riforniva i guerriglieri di armi, attraverso i servizi segreti. Ma era un percorso sporco, perché nei campi di addestramento c'erano anche esponenti della Br, che, a loro volta, ricevevano armi governative. Ed era appunto la strada del Fronte di liberazione palestinese e dei campi di addestramento quella che batteva Giovandone per fare arrivare alle Br il messaggio di clemenza per Moro. Se doveva essere una dimostrazione di forza, che avvenisse; ma la vita dello statista doveva essere risparmiata.
Nei campi di addestramento della Germania Orientale le Br furono contattate; ma il risultato non fu certo lusinghiero. Quella che fu un'azione disastrosa dei servizi segreti in Medio Oriente, segnò la vita pubblica del Paese disegnando un'operazione scomoda e compromettente.
Una parte dei servizi segreti, direttamente impegnati anche in quella missione, fu, di punto in bianco, cancellata.
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C'era anche un'altra Gladio, un po' ridicola, con base in Sardegna, a Poglina, tra Alghero e Bosa, che aveva reclutato persone miti, piccoli imprenditori, esponenti della noblesse in disarmo, sacerdoti.
Il loro compito era quello di vigilare in attesa di un'ipotetica invasione sovietica. Una lunga e inutile attesa da "Deserto dei Tartari".
Addestramento paramilitare, disciplina così così, questi agenti segreti (per modo di dire) in pantofole rappresentarono l'altra faccia, salottiera, di Gladio, ben diversa dallo Stay Behind. L'esistenza di questa componente viene "certificata" dall'ammiraglio Franco Accade. Operava dalla sede della Direzione generale del personale della Marina Militare alle dipendenze del ministero della Difesa. E' probabile che la Gladio conosciuta, quella dei nobili, del sacerdoti, dei piccoli personaggi servisse da paravento.
Certo, a Capo Marragiu (Poglina) c'erano istruttori e l'attività coinvolgeva, ogni tanto, anche quelli di Stay Behind. Ma la cosa ci interessa poco.
Interessa, invece, che i servizi segreti costituivano sempre più un corpo separato, che solo alcuni uomini politici controllavano.
Il nostro, Nino Arconte, compì questa missione e tornò a casa.
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L'ultima missione durò quattro anni, al 1983 al 1986 e si svolse al confine tra Marocco ed Algeria. Era denominata operazione Aknaur Magreb (grande Magreb) e aveva lo scopo di evitare che Ben Bourghiba, presidente della Tunisia, che passava per filo occidentale (forse, rispetto agli altri presidenti del Nord Africa) si appropriasse dei beni degli italiani (cosa che succede spesso nei periodi di guerra fredda). Il ministro degli esteri Andreotti aveva predisposto un protocollo per garantire beni e interessi dei nostri connazionali, ma, per un motivo o per un altro, Burghiba non firmava.
Il motivo di questo tira e molla era la pressione che, sulla Tunisia, e, in generale, sul Magreb, esercitava la Libia filo sovietica. L'espansione dell'Urss nel bacino del Mediterraneo meridionale aveva mobilitato le diplomazie occidentali, soprattutto l'Italia, che, se quel progetto fosse andato in porto, si trovava i comunisti in casa.
Nino Arconte, che in quei mesi era impegnato nell'addestramento militare nel sud dell'Algeria. Fu chiamato a partecipare all'operazione che aveva lo scopo "di ammorbidire le posizioni di Hassan II di Marocco. Di Benjedid Chadly, leader algerino, e dello stesso Burghiba. In realtà la finalità della missione era duplice: risolvere il protocollo italo-tunisino e favorire la nascita di partiti democratici in territori dove il potere esercitato dal vertice era assoluto.
Il lavorio fu intenso e sfociò in una insurrezione armata dei ribelli che i giornali chiamarono (ma era solo un pretesto) "la guerra del pane", per il malumore che gli aumenti spropositati di quel bene essenziale di consumo avevano creati. La rivolta ebbe il suo effetto: primo perché alimentò la coscienza democratica di quei popoli, secondo perché convinse re e presidenti a concedere le prime aperture democratiche.
Si chiuse positivamente anche il protocollo con Bourghiba e Martini, comandante della X Divisione, ebbe encomio e promozione. Tutto ciò, qualche mese dopo, non era mai esistito.
Che l'aria stesse cambiando, Nino Arcone lo percepì quando ricevette l'ordine di recarsi al passo di Oyda, ai contrafforti del Basso Atlante, per incontrarsi con G65. Ordine tassativo. G65 era un sardo, anche lui, che Nino aveva incontrato da poco. Fu subito sospettoso ma prese la variopinta corriera che, a passo di lumaca, partiva da Querzazate, a sud di Marrachesh. Nel lungo viaggio aveva tutto il tempo per rimuginare.
All'arrivo (un grande recinto dove si fermavano le corriere) notò alcune persone in borghese che controllavano i passeggeri. Non ci voleva molta fantasia per capire che erano poliziotti. Scese dalla sua e montò su un corriera che ripartiva. Era diretta a Tetuan, presso Ceuta, la città spagnola sul mare.
Era successo che il governo di Rabat cercava chi aveva fomentato la rivolta popolare. Nino Arconte era tra questi. La prospettiva, se fosse caduto nelle mani dei gendarmi, era la fucilazione. L'ordine di recarsi al passo di Oyda era una trappola.
Con uno stratagemma riuscì a farsi arrestare, al posto doganale, ma come un marinaio italiano che entrava in Marocco diretto a Tangeri, aeroporto più comodo per ritornare in patria. Per pagarsi le spese del viaggio, aveva cinque orologi di contrabbando. I doganieri caddero nel tranello e lo fermarono. Ebbero, per la verità, qualche dubbio che gli costò una settimana di permanenza nel gabbio, una sorta di prigione scavata nella terra, col pavimento ricoperto d'acqua lurida, che costringeva i prigionieri a stare inginocchiati.
Alla fine fu trasferito nella fortezza militare di Tetouan, nella zona riservata ai ribelli dell'insurrezione e a chi era sospettato di spionaggio.
Furono due mesi durissimi. Arconte fu torturato (gli furono strappate le unghie dei piedi), ma resistette. Non confessò il motivo della sua presenza in Marocco. Era, semplicemente, un marinario di passaggio.
Il lunedì e il giovedì, incatenato, era condotto in catene davanti al tribunale islamico che gli contestava le accuse di attività sovversiva. Ma Nino sorrideva e riferiva all'interprete che era un povero marinaio, desideroso di tornare a casa.
Alla fine, anche per l'intervento del console, il tribunale accettò la sua tesi. Dovette pagare una forte multa (ci pensò la moglie attraverso il consolato), ma fu scarcerato.
Dopo due mesi di carcere islamico (una stalla affollata da detenuti ma soprattutto di pidocchi e cimici) era poco riconoscibile. La prima doccia la fece all'Hotel Principe di Tetuan. Iniziò la disinfestazione della sua persona.
La detenzione ha anche aspetti positivi, è una specie di zona franca dei sentimenti, dove si diventa amici per necessità, ma di un'amicizia sincera.
Nino aveva ottimi compagni di cella: intellettuali, persone stimate, cadute nella rete del controspionaggio. Conobbe un tedesco che, essendo entrato in Marocco con una Mercedes, e avendola venduta perché l'offerta era buona, finì in galera per essere uscito senza l'auto. Fritz Frauholtz si rammaricava: era l'affare peggiore della sua vita, diceva.
All'uscita dal carcere ebbe indietro tutti i suoi soldi, anche gli spiccioli. Gli consentirono di prendere l'aereo da Tangeri, via Madrid e Barcellona, di arrivare a Roma. Malvestito e con l'aspetto sofferente per il lungo soggiorno in prigione.
Si recò in Via XX settembre, all'ufficio della X Divisione. L'insegna era sparita. La porta chiusa. Chi cerca, disse un usciere sospettoso. Nino rispose. Ma lei è matto, rispose l'usciere, qui non c'è mai stato un ufficio del genere. Nino protestò. L'usciere chiamò i carabinieri.
Nino allora cercò di partire dal punto certo, quello del suo arruolamento.
Antonino Arconte?, disse l'impiegato della Marina, alla quale si era rivolto. No, non risulta. Lei non ha mai fatto il servizio militare, non è mai stato arruolato. Almeno da noi.
Un colpo di spugna aveva cancellato sedici anni di attività, di lavoro, di pericoli dell'agente G71.
Mah…
Fu zittito. Nino allora raccolse le prove, quei documenti "a distruzione immediata" che non erano stati distrutti, il foglio matricola, le missioni. Tutto falso, dissero al Ministero. Nino ricorse al tribunale di Strasburgo che gli diede ragione. Si fece autenticare i documenti dal notaio. Intraprese causa allo Stato.
Ridiventava cittadino a tutti gli effetti, agente segreto di Gladio S.B. Una storia incredibile, che neppure la letteratura d'azione potrebbe immaginare. Missioni impossibili (a Teheran, dopo la cacciata dello Scià, a portare, nonostante l'embargo formale) punterie per i missili delle "fregate" vendute a quel Paese. Traffico d'armi, con la benedizione del ministero e il rischio, enorme, di finire al palo. Missioni oltre cortina, a contatto con persone che non ci pensano due volte a farti fuori.
Era sano e salvo, uomo libero, ma aveva rischiato di cadere sotto il fuoco amico. Storia amara dell'agente G71, l'uomo senza passato (per la Difesa).
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La battaglia di Nino continua. E' una battaglia di denuncia, di divulgazione dei fatti di alcune pagine scomode della nostra storia.
Ora stanno per partire le riprese di un film, si chiamerà "L'ultima missione", quella del Magreb, che vi abbiamo raccontato. Ma ha, anche, un sottotitolo: l'isola dei combattenti, perché nella storia della Sardegna gli eventi militarti hanno avuto sempre un peso preponderante. Anche i grandi santi di questa terra, di fede e di coraggio, erano soldati. Gente di valore. Nessuno di essi è stato cancellato, come volevano fare con Nino.

 
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